Disturbi di personalità e il web: la dipendenza dal “mi piace”

La rete, i social network, le app sono ormai entrati a far parte della vita di ciascuno di noi, anche di chi ha provato inizialmente a sottrarsi e resistere all’invasione social.

Spesso però c’è il rischio che tutti questi strumenti inizino a prendere troppo spazio e tempo nella nostra vita ed in parte vadano a sostituirsi al mondo reale. In questo caso i social network si trasformano in un’occasione di riscatto, un luogo dove poter essere migliori, mostrare quello che ci piace e nascondere quello che ci piace meno di noi. Il “mi piace“, che su Facebook rappresenta il consenso, rischia di diventare nutrimento per il proprio ego e misura del proprio valore, risposta istantanea alle nostre fragilità.

Oggi si rischia di perdere il presente perché ci si affanna a pubblicare, postare, “twittare“, “whatsappare” insomma a “condividere” con gli “amici” virtuali ogni istante della nostra vita, perdendo la possibilità di viverlo appieno nel costante affanno di fotografarlo e renderlo pubblico. Continuamente connessi, siamo sempre più offline dalla vita reale. Così, anzichè essere rivolta dentro di noi, l’attenzione è costantemente focalizzata su quello che vogliamo trasmettere agli altri e sulle impressioni che gli altri potrebbero avere di noi. Insomma, il senso di me e l’esperienza presente svaniscono.

Spesso, in qualità di terapeuti, ci troviamo a fare i conti con un bisogno compulsivo di riscontri positivi sui social, di controllo del proprio profilo ma, sempre più di frequente, anche con la difficoltà a stare nelle relazioni reali e a tollerare le frustazioni che le interazioni con persone in carne ed ossa implicano. La rete diventa un rifugio e così assistiamo ad uno scollamento tra il me pubblico e il me privato: le dinamiche interpersonali sono complesse e spesso costose dal punto di vista emotivo, nelle relazioni siamo costretti a fare i conti con le nostre paure, insicurezze e fragilità, insomma con le nostre emozioni, positive o negative che siano. Sui social tutto è semplificato, unidimensionale, mi piace o non mi piace.

Questo consente una certa libertà di movimento e apre alla possibilità di presentarmi al meglio ma il rovescio della medaglia è che quando Twitter non cinguetta, Facebook tace e Instagram non commenta, quando ciò che si scrive e si posta non riceve la dovuta attenzione il mondo si oscura, si cade nel baratro più profondo e, alle volte, emergono forti sentimenti depressivi di disvalore personale e inadeguatezza. Questo accade ancor più intensamente laddove già esistono delle vulnerabilità emotive, ferite narcististiche antiche che si riaprono bruscamente di fronte all’indifferenza del mondo o all’ostentazione di immagini e momenti di una vita perfetta che poco rispecchiano la vita ordinaria.

Quali sono i segnali di allarme?

Non si vuole demonizzare l’utilizzo dei internet e dei social che chiaramente costituiscono una risorsa preziosa ma lo strumento è potenzialmente pericoloso se viene utilizzato come riparo dalle possibili frustrazioni della vita reale, come fonte di gratificazione narcisistiche e di conferme del proprio valore.

Allora, se le ore trascorse attaccati allo smartphone cominciano ad essere eccessive, se si manifesta un bisogno compulsivo e continuo di connessione, di giorno e di notte, se c’è un disinteresse o un disinvestimento dalle relazioni reali e da attività differenti, se si manifesta irritabilità o instabilità emotiva quando l’uso di internet è limitato, si mente alle altre persone circa il tempo passato su internet e soprattutto se si utilizzano i social e internet come strumento di regolazione delle emozioni negative, è il caso di provare a cambiare passo e, se necessario, chiedere un aiuto professionale che possa consentire un percorso di conoscenza di sé, delle proprie aree di vulnerabilità, delle dinamiche relazionali virtuali e non e soprattutto di riappropriazione dell’esistenza reale.

Ironica e provocatoria campagna video della Coca Cola: l’originale rimedio per la dipendenza da smartphone

Il video di Moby del 2016 “Are you lost in the world like me?” firmato Steve Cutt che racconta la dipendenza dallo schermo e il senso di alienazione nell’epoca del web 2.0

Dott.ssa Elisa Boggeri
Psicologa Psicoterapeuta – Novi Ligure – Genova

Facebook
Twitter
LinkedIn
Telegram
WhatsApp
Articoli
Rubriche
Mi occupo di:
Link Utili: